La resistenza culturale nel Libano contemporaneo. Le sfide di artiste locali e profughe

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30 décembre 2020

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Estella Carpi et al., « La resistenza culturale nel Libano contemporaneo. Le sfide di artiste locali e profughe », Archivio antropologico mediterraneo, ID : 10.4000/aam.3502


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Sulla base di interviste condotte nel 2018, questo articolo analizza le somiglianze e le differenze che intercorrono tra le sfide che i “fautori della cultura” – artiste in primis – cittadine libanesi e rifugiate palestinesi e siriane devono affrontare nel contesto libanese. Dopo un’illustrazione dello scenario storico-politico libanese e di come in esso la “resistenza culturale” emerge in modo poliedrico, gli autori individuano aree d’incontro e di potenziale solidarietà tra gruppi. L’articolo discute la cosiddetta “umanitarizzazione” dei finanziamenti, attraverso la quale vengono sostenuti e potenziati soprattutto i progetti artistici che possono fungere da strumento di neutralità politica e di “medicalizzazione” dei traumi post-guerra. Tale fenomeno genera in parte una depoliticizzazione ed esteticizzazione dell’arte, “demobilitando” quindi la verve politica dietro al lavoro culturale e, allo stesso tempo, lega la sopravvivenza materiale di tali spazi culturali a cicliche crisi umanitarie.

Based on interviews conducted during 2018, this article examines the challenges that Lebanese citizen, Palestinian and Syrian refugee “culture-makers” – primarily artists – need to face in the Lebanese context, and how such challenges differ from or overlap with one another. After providing an overview of Lebanese political history and how, within it, "cultural resistance" emerges in a multifaceted way, the authors identify areas of encounter and of potential solidarity between groups. The article discusses the so-called "humanitarianization" of funding, through which especially the artistic projects that can serve as instruments of political neutrality and of "medicalization" of post-war traumas are supported. This phenomenon generates in part a de-politicization and aestheticization of art, thus demobilizing the political verve behind cultural work and, at the same time, linking the material survival of such cultural spaces to cyclical humanitarian crises.

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