12 janvier 2021
https://www.openedition.org/12554 , info:eu-repo/semantics/openAccess
Carlo Bitossi, « Oligarchi ai margini », Publications de l’École française de Rome, ID : 10.4000/books.efr.8607
Nell’eta moderna il ceto di governo genovese contava una componente significativa di individui e famiglie di modesta fortuna provenienti da entrambe le antiche fazioni dei populares e dei nobiles. La norma che vietava ai nobili di esercitare arti “meccaniche” ostacolava la risalita sociale dei patrizi decaduti. Alcuni di loro a rischio di declassamento emigrarono dalla città; altri rinunciarono tacitamente all’inclusione nel patriziato; altri, ancora seguitarono a farne parte rimanendone però ai margini. Questi ultimi ricorrevano ai lasciti istituiti dagli esponenti più ricchi delle rispettive casate a beneficio dei consanguinei impoveriti, oppure chiedevano soccorso all’Ufficio dei poveri. Il miglior modo di resistere al declassamento consisteva nell’occupare gli incarichi di governo minori: i comandi nella flotta e nell’esercito, alcune magistrature secondarie in Terraferma e in Corsica. Poiché dall’inizio del Seicento le occasioni di ristabilire le fortune diminuirono, il declassamento finiva col diventare irreversibile. I vertici del ceto di governo si rinnovavano cooptando i nuovi ricchi, che scavalcavano i patrizi di antica data impoveriti. Nonostante un momento di crisi a metà Seicento e un altro a metà Settecento, le provvidenze private e pubbliche e l’occupazione di impieghi pubblici impedirono che il declassamento fomentasse la protesta politica e minacciasse la stabilità del governo oligarchico.