De spoliis nel Seicento : dispersione, reimpiego, collezionismo antiquario

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2008

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Annarosa Cerutti Fusco, « De spoliis nel Seicento : dispersione, reimpiego, collezionismo antiquario », Publications de l'École Française de Rome (documents), ID : 10670/1.h5bhe9


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Lo studio degli spolia reimpiegati a Roma nel Seicento ha come premessa sia una questione di natura filologica, sia il chiarimento del quadro giuridico entro cui la Santa Sede rivendicava un diritto sulle vestigia dei monumenti antichi. Per quanto riguar da la prima questione si fa riferimento a numerosi scritti, da Vasari a Bellori, in cui il termine spolia è utilizzato nell’accezione oggi assunta per descrivere antiche vestigia riusate in nuovi manufatti. Per quanto riguarda il quadro giuridico, nel diritto canonico seicentesco la serie di norme dal ti tolo De Spoliis ecclesiasticis concernono in generale la non alienabilità dei beni della chiesa (inclusi i monumenti antichi), che rimanevano a disposizione della Santa Sede. Si esaminano quindi alcuni interessanti esempi di reimpiego di spolia nel Seicento a Roma ove tale prassi ebbe una forte accelerazione, vista la richiesta di marmi “peregrini” antichi oggetto di collezionismo e di reimpiego nelle sontuose decorazioni delle chiese, delle cappelle gentilizie e delle dimore pontificie e nobiliari.

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